GLI
UNNI
di Raimondo Rotondi
L'uomo
esce di fronte a me all'improvviso.
Al
buio non riesco a distinguerne la figura, ma sento bene la voce infuriata, dal
forte accento tedesco: - Andiamo! Che fai dormi? -
Mi sento stralunato e non riesco a capire dove mi trovo. Fa freddo e c'è neve per terra: parecchia neve. Il debole chiarore della luna illumina appena la scena.
Devo
aver dormito parecchio. Ho una sensazione di risveglio da sonno profondo.
Fatico a connettere. Scuoto la pelle di animale che mi copre, per liberarla
dalla neve. Perché cavolo ho una pelle d'animale addosso?
-
Ti vuoi sbrigare? Dormi in piedi! - Sibila la voce di prima, con accento che
ora pare inglese.
Cerco
di capire chi sta parlando. Impossibile riconoscerlo.
E'
anche lui avvolto in una pelle di animale, che lo copre dalla testa ai piedi,
lasciando libera soltanto la faccia. L'ombra del cappuccio non consente di
vedere bene.
Il
suono della voce ha qualcosa di noto.
L'accento
metallico, un po’ biascicato e cantilenante, l'ho già sentito.
E'
croato.
Sono
sicuro al cento per cento. L'uomo che parla è di nazionalità croata. Mi porge
qualcosa, con fare concitato, aggiungendo:
-
Sembri del tutto rimbambito. Perché guardi con quella faccia da deficiente?
Andiamo. Ci tocca lavorare, adesso. -
Pensandoci
bene, l'accento potrebbe essere russo.
Mi
ha dato una roncola.
Perché
mai un russo che forse non è russo, ma comunque nordico, mi dà una roncola in
mezzo la neve? Mi decido a parlare:
-
Cosa ne devo fare di questa? -
-
Dobbiamo fermare quelli. Lo sai benissimo cosa dobbiamo fare. -
Non
riesco ancora ad identificare l'accento. Forse è olandese.
Guardo
nella direzione che ha indicato. Ci troviamo in una macchia di alberi.
Le
fronde coprono in parte la luce della luna.
Più
in basso di noi, sul fianco della vallata, la luna piena non incontra ostacoli.
Illumina
un'interminabile fila di uomini a cavallo.
-
Chi sono quelli? -
-
Unni! Dormire ti ha fatto male. Sembri del tutto stordito. Sbrighiamoci. Non
devono arrivare al passo per nessun motivo. -
-
Ma sono migliaia. Come li fermiamo? Con le roncole? -
-
Non hanno niente di meglio neanche loro. Quando hai accettato questo lavoro,
sapevi benissimo a cosa andavi incontro. Andiamo! Ci pagano soltanto se
riusciamo a fermarli. -
-
Dove sono gli altri? -
-
Quali altri? Siamo soltanto noi due. -
Che
razza di lavoro è questo? Dobbiamo fermare, in due, a roncolate, un'orda di
Unni. Ci pagano soltanto se ci riusciamo, pure. E' proprio vero: il lavoro non
si trova. Quando si trova, è una fregatura.
Che
c'entro io con gli Unni, poi? E questo, che parla con accento indecifrabile,
chi è?
-
Ma gli Unni non esistono più da centinaia e centinaia di anni! -
-
Questo lo dici tu. Guardali bene. Non li riconosci? Sono loro. -
La
lunga fila di cavalieri, vestiti di pelli, con pelosi cappelli dalle tese
rialzate, fa pensare proprio agli Unni. Cerco di confrontarli col poco che
ricordo dei libri di storia. Procedono lenti, ma siamo in piena notte.
Questo
l'ho sentito dire: camminano sempre, senza fermarsi mai, dormendo sui cavalli.
Alcuni dormono, infatti. Altri vigilano, scrutando il terreno intorno.
La
luce della luna illumina crudeli facce orientali.
Un
volto, deturpato da cicatrici, con impressionanti mandorle nere al posto degli
occhi, guarda dalla mia parte. Non può vedermi, ma la ferocia che traspare
dallo sguardo, basta a gelare il sangue.
Certo
che erano brutti forte!
Erano?
Sono brutti forte.
-
Ma devo affrontare quei cosi con la roncola? Non la so neanche usare. Sono nato
all'epoca delle motoseghe. -
-
Non possiamo usare motoseghe. Sarebbe sleale. Forse ti trovi meglio con questa.
-
Così
dicendo, riprende la roncola e mi porge una vanga.
Ho
riconosciuto la voce.
Ho
capito chi è: Carlos Menado, o qualcosa del genere.
Faceva
il cameriere nel ristorante, dove io facevo l'aiuto cuoco, parecchi anni fa.
Come
ho fatto a non riconoscere l'accento spagnolo?
-
Che ci faccio con la vanga? Dammi un'ascia. Con quella, qualcosa riesco a fare.
-
-
Non abbiamo asce. Arrangiati così. -
Così
dicendo si mette a correre allo scoperto, brandendo la roncola e lanciando urla
bestiali.
Io
mi acquatto di più nella neve, cercando di sparire.
Pensandoci
bene, mi sono sbagliato. Non ha l'accento spagnolo.
La
fila di cavalieri, richiamata dalle urla di quel pazzo, si è arrestata.
Partono
colpi di armi da fuoco.
Vedo
i lampi. Subito dopo sento il rumore che rimbomba per la vallata. Sparano
all'impazzata, con fragore assordante, in direzione del mio compagno. Lui salta
come un grillo, mentre le pallottole sollevano spruzzi di neve intorno.
Fugge
nella mia direzione. Nella fuga perde la pelle d'animale, ma riesce a
riguadagnare il rifugio, illeso.
Le
fucilate si dirigono adesso dalla nostra parte. Ci sdraiamo il più possibile a
terra, mentre i colpi fanno scempio degli alberi, intorno.
Grossi
pezzi di ramo cadono, con fragore. Uno dei rami, molto grosso, casca proprio
davanti a noi. Lo evitiamo per un pelo, ma offre adesso un riparo più solido.
Riesco a chiedere: - Ma gli Unni
sparano? -
-
Non me l'aspettavo, ma è possibile. I Cinesi hanno già scoperto la polvere da
sparo e costruiscono armi da fuoco. Gli Unni sono arrivati qua, perché non sono
più in grado di combattere l'esercito cinese. Possono essersi impossessati di
qualcosa e la stanno usando. Non preoccuparti: si tratta di armi molto
rudimentali. -
Le
"armi rudimentali" continuano a combinare disastri. Mi acquatto
ancora di più nel rifugio effimero.
Quella
voce la conosco. Ne sono sicurissimo.
Non
riesco a ricordare dove l'ho sentita, ma ha qualcosa di slavo.
Ricordo,
di colpo, che porto sempre in tasca un temperino. Sarà lungo due centimetri,
ma, in questo momento, pare un'arma formidabile.
Comincio
a cercare e mi accorgo di non avere tasche. Non indosso i soliti vestiti. La
scarica di fucileria è cessata. Gli Unni si staranno avvicinando a piedi, per
finirci.
Mi
sollevo sui gomiti, per guardare al di là del tronco. I rami caduti hanno
liberato la luce della luna. Adesso ci rischiara del tutto.
Posso
capire chi è il mio compagno.
Guardo
dalla sua parte e vedo la faccia di mia moglie, addormentata.
Cosa
ci fa mia moglie, qui, in mezzo la neve? Nel pensare questo, mi accorgo di
essere nella mia stanza da letto.
Era
un sogno, cavolo!
Mi
alzo a sedere sul letto e controllo la sveglia sul comodino: le quattro e
venticinque.
Devo
smetterla di abbuffarmi di peperoni fritti, la sera a cena.
FINE