SALMONI
di Raimondo Rotondi
I ricordi d'infanzia sono fotografie sfocate, buttate nei cassetti,
confuse a scorie della vita seguente. Difficile datarle. Sensazioni, più che
avvenimenti. Lampi nitidi nella nebbia magica dell'infanzia.
Fra le foto un volto, a lungo dimenticato.
Si chiamava Eleuterio. Aveva quel tipo di capelli, folti e ricciuti,
che diventano bianchi in giovane età, ma non cadono mai, rimanendo ugualmente
folti per tutta la vita.
Gli abitanti di queste zone sono chiamati "teste
d'agnello", per l'aspetto particolare di quei capelli.
Prima che partisse per gli Stati Uniti, parecchi
anni prima, era soprannominato "il principe". Dopo il ritorno, con
scarsa fantasia, "l'americano".
Dell'americano aveva l'aspetto. Si presentava muscoloso, spalle
larghe e quel tanto di sproporzionato che hanno molti statunitensi. Indossava
strane camicie dai colori sgargianti. Non so quanti anni avesse. Tornato da
poco, era considerato ricchissimo.
La zona viveva il suo eterno dopoguerra, dopo la guerra che,
quattordici secoli prima, aveva annientato la civiltà.
Quella guerra, detta greco-gotica, sembrava finita da poco. La
dominazione longobarda appena iniziata. Era più che un'impressione. La storia
pareva ferma. I secoli passati invano.
La vita era una sopravvivenza stanca, annichilita e sospettosa.
Da lì, anni prima, era partito "il principe".
Una certa fierezza dei modi aveva ispirato l'ironico soprannome.
Era possidente anche allora. Il padre, a sua volta emigrante,
aveva comprato casa e qualche ettaro di terreno. "Trenta tomoli"
ripetevano con invidia. Sembrava la proprietà di Creso.
Negli Stati Uniti aveva fatto maggior fortuna.
"L'americano" era adesso uno dei più ricchi del paese, se non il più
ricco.
Alcuni dei benestanti, più evoluti, pensavano di vivere già
nell'era feudale.
Guardavano con rancore il "servo della gleba" affrancato.
Cercavano d'ostacolarlo in tutti i modi.
Lui non aveva timori reverenziali. Superava gli ostacoli con
grinta e dollari. Entrava ed usciva dagli uffici, sventolando carte. Ogni tanto
alzava la voce, imprecando nel suo slang incomprensibile. Distribuiva documenti,
insulti o mazzette.
Gli ostacoli s'appianavano, sempre.
Mio padre era stato in Inghilterra, dov'ero nato. Lavorava per
lui, come interprete e sensale.
Eleuterio stava costruendo un villino in stile "middle
class". Aveva portato i disegni dagli Stati Uniti. Gli artigiani locali
non erano in grado di leggerli. Lui non era in grado di spiegarli. Mio padre
era l'unico in grado di provarci.
Il suo inglese e quello di Eleuterio sembravano, però, due lingue
diverse. Non riuscivano a capirsi. Dovevano ricorrere al dialetto o al
linguaggio universale dei gesti. Li vedevo impegnati, a lungo, in mimiche buffe
e complicate. Tracciavano per terra disegni misteriosi, aiutandosi con pietre e
bastoni. In quei disegni si muovevano, discutendo, gesticolando e tracciando
segni ancora più misteriosi nell'aria. Sembrava un gioco.
Il gioco diventava più complesso, mano a mano che la costruzione
progrediva.
La zona isolata, in cui sorgeva il cantiere, era sempre affollata
di curiosi. Guardavano allibiti, scuotendo la testa. Non avevano mai visto
niente del genere e criticavano.
Anche loro avrebbero costruito case simili, in seguito. Quello
stile sarebbe diventato universale. Allora sembrava una stravaganza folle,
degna di biasimo.
Eleuterio aveva sposato una giovane messicana. Questo suscitava
critiche ancora più feroci.
Era una donna veramente bella. Si chiamava Maria.
Non c'era posto per lei, in quel paese. Non esistevano altre
giovani. Le donne passavano dall'infanzia alla vecchiaia, senza fasi
intermedie.
Vivevano una vita lamentosa, nell’eterno ronzio di malattie e morte, disperazione e disgrazie.
Maria portava l'eco di un altro modo di vivere. Al ronzio non
piaceva.
Non piaceva neanche ai parenti di lui, che miravano all'eredità.
"Quella" minacciava di sconvolgere i loro piani.
Eleuterio, quand'era partito, aveva affidato ai parenti terreni e
casa. Aveva preteso, però, il contratto d'affitto.
Conosceva l'usucapione, dannazione di tanti emigranti. Origine di
rancori sordi, destinati a durare generazioni.
Attento ai suoi affari, s'era premunito. I parenti potevano
sperare soltanto che non tornasse.
Era tornato, quando ormai si sentivano padroni di tutto. I loro
piani erano andati in fumo.
Aveva acquistato altra terra, stava costruendo un'altra casa, ma
restava sempre proprietario della vecchia.
I parenti vedevano sfumare anche il sogno dell'eredità.
"Quella" era un radioso fiore di primavera, in attesa
d'essere impollinato.
A me, Maria piaceva. Giocavo sempre con lei. In qualche modo
riuscivamo a capirci. Dietro la futura casa aveva già un'altalena. Non
ricordavo d'averne viste altre, prima. Passavo ore a dondolarmi. A volte
facevamo lunghe passeggiate per campi e boschi. Era la mia compagna di giochi
preferita. Trascorremmo insieme molte giornate, mentre il villino cresceva.
Verso la fine, Eleuterio s'era messo in testa di costruire un
"barbaccù", come lo chiamava.
Ricordo quel particolare con molta chiarezza. Risento il modo curioso in cui pronunciava la parola.
Ogni villetta ha oggi un barbecue, o qualcosa di simile. Allora,
cuocere carne in giardino sembrava una
follia. Come avere un giardino, del resto.
Si seminava grano fino alla soglia delle case. I fiori, ma anche
le piante da frutto, erano un lusso inutile.
Del "barbaccù" si parlò a lungo. Lo ricordo
probabilmente per questo.
"L'americano", che aveva costruito la casa senza stalla
ed aveva destinato la terra a fiori e "piante pazze", adesso voleva
cuocere carne in giardino. Era matto, senza ombra di dubbio.
Il barbecue era un'idea effettivamente curiosa, per l'epoca e il
luogo.
Non c'era più fame. Non c’era mai stata, almeno a memoria d'uomo.
L’ultima vera carestia risaliva al buio dei secoli. Sembrava,
però, sempre imminente.
Le famiglie accumulavano quantità enormi di provviste.
Si allevavano polli, conigli, addirittura maiali, anche in pieno
centro urbano.
Si mangiava tanto, molto più d'adesso. Le case avevano cucine
enormi e camini monumentali.
La mancanza di frigoriferi limitava, però, il consumo di alcuni
alimenti. La carne bovina si mangiava di rado. Quando capitava, data
l'impossibilità di conservarla, se ne facevano vere e proprie scorpacciate.
Folle che fosse, l'idea, Eleuterio voleva il suo
"barbaccù". L'opera veniva montata, smontata e ancora rimontata.
Eleuterio mugugnava, gesticolava e non era mai soddisfatto.
Mio padre chiacchierava a lungo con lui. Vuotavano bottiglie di
whisky, nel frattempo. Dovevano essere brilli, se non ubriachi del tutto, alla
fine, ma io non notavo nessuna differenza.
Una sera, sulla via del ritorno, mio padre disse:
- I salmoni tornano, per deporre le uova e poi morire. -
Non aggiunse altro e non compresi. Non sapevo cosa fosse un
salmone.
Non dimenticai però quella frase, pronunciata in modo solenne.
I salmoni nascono nei torrenti che diventano fiumi, prima di
sfociare nel mare.
In quel mare i salmoni vivono anni. Risalgono, alla fine, i fiumi
per deporre le uova nel luogo in cui sono nati. Muoiono, dopo, ma danno inizio
alla nuova generazione. Questa compirà lo stesso faticoso percorso. Misteriosa
ed eroica la vita dei salmoni. Mio padre l'assimilava alla sua ed a quella di
Eleuterio.
Passò, quel periodo di giochi con Maria. Non riesco a ricordare in
che modo.
La vita, come succede, prese un altro corso. Eleuterio divenne un
semplice conoscente, poi neanche
quello.
Ne sentivo parlare, di tanto in tanto. Avevano avuto un figlio,
lui e Maria.
Passarono anni.
Qualcuno mi raccontò che Maria se n'era andata, portando con sé il
bambino.
Il whisky, ricordo degli Stati Uniti, aveva travolto il matrimonio
di Eleuterio. Dopo qualche tempo, spense la sua vita.
I salmoni sono pesci di mare. Non possono vivere nei pochi
centimetri d'acqua di un torrente. L'oceano in cui aveva nuotato Eleuterio era
lo stesso in cui aveva nuotato suo padre. Un misterioso istinto l'aveva
riportato al torrente, dove aveva fatto nascere suo figlio. Svolto quel
compito, aveva concluso il suo ciclo vitale.
Non so quanti anni sono passati, da allora. Sono ormai un uomo di
mezza età.
Diventa forte la voglia di risalire la corrente.
Il resto della vita l'ho vissuto fra mari e lagune salmastre. Un salmone vive bene
dappertutto, in fondo. L'unico posto in cui non potrà mai vivere è quello in
cui desidera tornare.
Ineluttabilmente viene il giorno. Imbocca la foce del fiume. Nuota
contro la corrente dei ricordi. Risale rapide e cascate. Ripercorre la vita al
contrario con uno sforzo tremendo. Torna all'origine, alla sorgente del fiume.
Il semplice viaggio fisico l'avevo fatto altre volte. Erano visite
superficiali, condite dalla fretta. Stavolta c'è qualcosa di diverso. Sono
riemersi dal passato volti dimenticati.
Ho rivisto mio padre, Eleuterio, Maria, quel periodo per me
spensierato. Quello che considero il mio paese è oggi abitato da sconosciuti
che non mi conoscono.
Ho cercato la casa di Eleuterio, come fosse l'ultima cascatella da
superare. Erano decenni che non passavo di là.
La zona è cambiata. Non è spopolata come allora. Sono sorte altre
villette simili, più nuove.
La sua c'è ancora, disabitata da tempo. L'intonaco è pieno di
crepe. I rovi hanno invaso il giardino. Ho guardato a lungo, cercando il famoso
"barbaccù".
Non l'ho visto. Forse demolito, forse confuso dalla vegetazione.
Ho fatto il giro del recinto, sperando di vedere l’altalena. Qualcosa è rimasto, arrugginito
e sepolto dai rovi.
Ho notato, ad un certo punto, un altro uomo guardare la stessa
casa.
I capelli bianchi e ricciuti, come lana d'agnello, mi hanno
ricordato Eleuterio.
Quell'uomo, che non conoscevo, doveva essere suo figlio. Era
pensieroso e assorto, ma deciso.
Valutava l'altezza delle rapide, intenzionato a risalirle.
Fra qualche tempo la casa sarà ripulita, restaurata e di nuovo
abitata.
Un’altra generazione di salmoni è tornata.