LA RAGAZZA

di Raimondo Rotondi

 

Dieci anni, dall'ultima volta che ci siamo visti. Una bella serata proprio in questo periodo dell'anno. Mi parlavi del nuovo destino in Francia e della vita prossima ventura.

Non so cosa è stato di te da allora, ma certo stasera mi mancano, le nostre solite quattro chiacchiere fra un bicchiere e l'altro.

Sono seduto al tavolo della cucina e bevo birra fredda. Non la speciale nostra solita, ma squallida birra da supermercato, molto cara per quello che vale.

M'è venuta voglia di scriverti, anche se, per dieci anni, mi sono limitato a cartoline d'auguri per Natale e per Pasqua. Non hai risposto neanche a quelle, comunque.

Ricordo quando eravamo giovani, falene ronzanti intorno alla lampada della vita. Stai ridendo di quest'espressione, lo so, come ridevi delle poesie che scrivevo un tempo.

Ma, vedi, sono ormai alle soglie della vecchiaia e non posso fare a meno di compatire i giovani. La falena rende l'immagine di tutto quel movimento inutile e snervante, a volte mortale, intorno a luci artificiali.

Li vedo, sai, sulle panchine della villa: macchine, moto e ragazzine acerbe, atteggiate a donne fatali. Invidia, dici?

Noi, giovani d'altri tempi, l'amore lo conoscemmo insieme, al casino della stazione. Non fu gran cosa, ma ne parlammo per settimane, euforici della conferma d'essere veri uomini. Le donne erano quello, o l'austera serietà del matrimonio.

I nostri matrimoni sono finiti come sai. Tu hai avuto il coraggio di riprovare. Io sono rimasto a combattere con la solitudine e non credo d'aver vinto. Quello che è stato della mia vita lo sai. Dall'ultima volta che ci siamo visti non è cambiato niente. Lavoro sempre in cartiera, turno fisso sei-quattordici, ancora due anni alla pensione. Lavoro a parte, e un po' di spesa al supermercato, non esco quasi più. Passo le giornate in casa: barba lunga, mutande, piatti sporchi per settimane. Mangio pochissimo, soprattutto scatolame. Non cucino quasi mai.

Bevo, non più come una volta e non più con la stessa soddisfazione, ma bevo ancora. Non saprei come fare, senza birra, con questo caldo pesante che s'appiccica addosso come una maledizione. La casa, il vecchio buco dei nonni, è diventata uno schifo. Dovrei farci qualcosa, ma non ho voglia e non fa differenza.

Sono anni che non ricevo visite e nel quartiere non conosco più nessuno. I vecchi sono morti, gli altri sono andati ad abitare nei nuovi quartieri a nord.

E' arrivata gente nuova, visi duri con la febbre negli occhi, donne sguaiate e bambini maleducati. Non c'è più pace. Ogni notte veglio, ascoltando liti urlate e televisori a pieno volume. Viene la polizia, ogni tanto. L'altra sera hanno preso qualcuno ai piani superiori. Ho sentito trambusto e voci concitate per le scale, ma non mi sono affacciato. Gira droga e tanta. La notte del viale è un festival di macchine e facce da galera, spesso sirene, ogni tanto spari. Restano siringhe al mattino, a volte di più.

Un ventenne se n'è andato per sempre due settimane fa, laccio al braccio e musica nelle orecchie. L'hanno trovato così, al mattino, meno di cinquanta metri da casa mia.

Se esiste un modo intelligente per morire, non è sicuramente questo.

I giovani, sai, vivono come in guerra. Induriscono vestiti e modi, ascoltano musica dura e giocano a fare i duri. Vogliono dimenticare la paura di non farcela.

Li vedo, passando, vestiti come nei film americani, smargiassi su auto e moto grosse, storditi di musica e chissà che altro. Le ragazze sembrano sexy e provocanti, ma hanno, in fondo, qualcosa di patetico.

Noi ce l'abbiamo quasi fatta, amico mio, non so se loro ce la faranno.

Eppure in quel nulla c'è una ragazza che mi piace. Da due mesi l'incontro ogni mattina, quando esco per andare al lavoro.

Ha una cinquecento rossa e la parcheggia non lontano dal portone del palazzo. Abita nelle vicinanze, non sono riuscito a capire dove. Rientra ogni mattina, quando io esco, e dovrebbe lavorare in una delle mille sartorie di zona. Le prime volte l'ho notata appena. Col passare dei giorni, senza accorgermene, ho cominciato ad uscire con la speranza d'incontrarla. Adesso provo un brivido di piacere, ogni volta che la vedo. Sono diventato matto, dirai. Potrebbe essere mia figlia, se non mia nipote.

Non ho intenzioni particolari. Sarei folle a pensarlo. Mi piacerebbe parlarle, intrattenere un rapporto d'amichevole conoscenza.

Avrei altro da dirti, ma il caldo m'opprime ed ho bevuto troppo. Ti farò sapere nella prossima lettera.

 

***

 

Sono passati quattro mesi, da quando ti ho scritto, e non ho ricevuto risposta. Sono riuscito a parlare con la ragazza, ma non so ancora come si chiama.

La sorte mi ha aiutato. Una mattina l'ho trovata intenta a cambiare una ruota, un po' impacciata, come sempre le donne in questi casi.

L'ho aiutata e da allora mi saluta. Basta questo per sentirmi contento, al mattino quando mi alzo.

Mi rado, cosa che non facevo sempre, e cerco di vestirmi al meglio. Ho comprato anche, dopo tempo, un paio di pantaloni e due camicie nuove. Ma non credo guardi come sono vestito. Mi dice buongiorno, con un sorriso di cortesia che non arriva agli occhi. Io rispondo cordiale, cercando una maggiore familiarità che mi sfugge. A volte, nel pomeriggio, esco nel quartiere. Spero d'incontrarla, ma non l'ho mai vista. Se lavora di notte, il pomeriggio dorme.

Mi sento cretino, certo. Alla soglia dei sessanta, un amore da collegiale d'altri tempi.

E rileggendo vedo che ho scritto amore, una parola che non significa niente e rende semplice quello che semplice non è.

Conosci bene il cinismo con cui ho sempre trattato l'argomento e cosa mi hanno riservato le donne fin adesso. Eppure è bastata una ragazza, neanche eccezionalmente bella, per vedere le cose in modo diverso. Sarà colpa dell'andropausa, delle arterie, del fegato che perde colpi. Sono molto confuso. Scrivi, ti prego, e dimmi cosa ne pensi.

 

***

 

Non riesco ad avere risposta e sai quanto mi farebbe piacere. Ma non importa, ad un amico si perdona tutto. Mi sento felice, sai. Continuo a vederla, ogni giorno, e quest'incontro m'illumina la giornata. Mi sorprendo a cantare radendomi. Uso dopobarba, deodorante ed una tintura leggera per i capelli. Ne ho parecchi grigi, anche se ho smesso di perderli e, per la mia età, ne ho tanti. Sono riuscito a sapere il suo nome. Abbiamo scambiato qualche parola, la mattina che la polizia ha chiuso il baretto all'angolo. Quello dove andavamo a bere, quando abitavi ancora qui. Aveva cambiato proprietari e non ci andavo da un pezzo. Spacciavano droga. Ne hanno trovata parecchia, durante una perquisizione. Laura, così si chiama, sembrava seccata. Era a pezzi, poveraccia. In quelle sartorie fanno lavorare le ragazze come schiave e pagano poco. Laura, quella mattina, era stanchissima ed impastata di sonno. Non sapeva dove comprare le sigarette. Gli ho regalato il mio pacchetto, rimanendo senza per tutto il turno di lavoro. Sai quanto può essermi costata, una cosa del genere. Il giorno dopo aspettavo provasse a restituirlo. Si è limitata a salutarmi, passando. Non si sentiva bene. Era pallida ed aveva gli occhi lucidi. Sembrava leggermente malferma sulle gambe. Lavorano duro in quelle fabbrichette.

Io sono sempre più folle. Ho fatto riverniciare l'appartamento, ho comprato il televisore a colori. Avevo ancora il bianco e nero e non m'importava niente. Guardo soltanto il telegiornale e neanche tutti i giorni. Da un mese non bevo più e faccio ginnastica. Ho perso pancia. E' vero, sono stupido! Hai ragione a ridacchiare, mentre leggi. Non chiedermi cosa spero di fare. Semplicemente non lo so. Mi basta sentirmi vitale come non mi sentivo da anni. Il resto si vedrà. Rispondimi, ne ho bisogno.

 

***

 

Era una di loro, sai. L'ho riconosciuta sul giornale e mi è crollato il mondo addosso. Era in villa, buttata da qualche parte, morta di siringa. Overdose la chiamano, un nome americano, come questo modo di morire. Non credo cerchino la morte, i giovani. I giovani non credono nella morte. Bruciano impetuosi una vita che pare immensa. Sono facili da capire gli incidenti a velocità folle, fregati dal coraggio e dall'ansia di vivere. Difficile capire la lenta malattia della siringa. Cosa c'è di giovanile in quello sprofondare, in quella decadenza così simile alla vecchiaia?

Non so per quanti anni fosse sprofondata quella ragazza e come potesse conservare un'aria così pulita. Certo una parte di sé non era nata per quel destino. I miei occhi indulgenti vedevano quello che poteva essere e non è stato. Aveva passato tutte le forche caudine del suo vizio. Si prostituiva da qualche parte. Avrei potuto averla per poche decine di migliaia di lire e sospiravo per un saluto distratto. Saprà mai quella ragazza, negli sterminati e perfetti mondi dell'aldilà, che un povero anziano, forse pazzo, aveva trovato in lei l'ultimo lampo di speranza?

Sapranno mai, questi giovani, quanto ogni vita sia legata alle altre e quanto sia crudele buttarsi via, portando con sé altri, innocenti, destini?

Il mondo è freddo da quando se n'è andata.

Non ho versato una lacrima, ma ho un pianto di neonato nel cervello ed un urlo di vento che non mi lascia pace.

Berrei tanto, ma non ho sete. Siedo davanti alla bottiglia piena e aspetto. Aspetto anche la tua risposta, se arriverà.