NON
TUTTO IL MALE...
di Daniela Quarta
Lorenzo se ne è andato. Già, mio figlio
Lorenzo ha deciso di andare a vivere con il padre e la sua nuova compagna.
Hanno anche una bambina di un anno.
“Lorenzo non ha il coraggio di dirtelo,
perciò lo faccio io” ha esordito qualche tempo fa Mauro, il mio ex marito, con
la voce delle grandi occasioni. Dio, quanto odio quel tono! Per non parlare del
ghigno soddisfatto e malcelato che accompagnava il suo: “vedi, Luisa, anche se
nostro figlio ha solo dodici anni è perfettamente in grado di fare scelte. Se
pensa di trovarsi meglio è giusto che venga a vivere con me. Tu non vuoi che
sia infelice, vero?”
No, certo che no! Mi sono gridata in
testa. Ma di fronte a Mauro ho mantenuto un atteggiamento dignitoso, anche se
dentro mi sentivo lacerare. Mio figlio doveva ancora fare i bagagli e già mi
mancava. In cosa ho sbagliato con lui perché decidesse di andarsene? Ho
continuato a chiedermi nei giorni successivi all’annuncio vedendo Lorenzo
impacchettare le sue cose. Soprattutto i regali del caro papà.
Non hai sbagliato in nulla, mi sono poi
ripetuta sino alla nausea, solo che fare il genitore a tempo pieno significa
ricoprire anche i lati negativi del ruolo di educatore. Certo, per Mauro è
stato facile fare il padre perfetto una volta ogni quindici giorni: pranzi
fuori, felpe e scarpe firmate da riempire l’armadio, pomeriggi alle giostre, il
computer...
I compiti quando li fai? tuonavo invece
io, vedendo Lorenzo navigare in Internet piuttosto che studiare. E vedi se ti
sembra ora di sistemare questo porcile di stanza! rincaravo la dose sbattendo
la porta.
Ho forse esagerato? Bah, forse, qualche
volta. Forse avrei potuto evitare di urlare, ma quando torno dal lavoro ho
talmente tanto da fare! Cumuli di biancheria da stirare, la casa che sembra
reduce da una tromba d’aria, prepara la cena, fai quadrare i conti... non
finisco mai. Eppure, malgrado tutto, ho sempre cercato di seguire mio figlio
negli studi e di giocare o parlare con lui. Parlare di tutto. Mi vanto anche di
essere sempre stata presente alle partite di calcetto alle quali teneva tanto,
e che per me erano di una noia mortale. Senza contare che una volta rientrati
avrei comunque dovuto sbrigare le faccende accumulate.
Ora non ho più così tanto da fare,
purtroppo. Ora siamo rimasti io, Tarta e Ruga, le due tartarughine acquatiche,
e la coppia di criceti. “Ha detto il papà che è meglio rimangano qui, per ora”
ha mormorato Lorenzo a mezza bocca. So che gli è dispiaciuto lasciare i suoi
animaletti, forse più che lasciare me. E sappiamo entrambi che quel “per ora”
significa per sempre. Laura, la compagna del mio ex marito, ha brigato in modo
di non averli in casa. Almeno loro.
Con questo non voglio dire che non sia
affezionata a Lorenzo, per carità, ma è anche una di quelle molto prese da se
stesse: sempre truccatissima, levigata, non un capello fuori posto... insomma,
una che anche appena sveglia sembra saltata fuori da una copertina patinata. E
ce ne vuole di tempo per mantenersi così! Infatti non lavora, ha smesso non
appena lei e Mauro sono andati a vivere insieme. Tempo due mesi ed è rimasta
incinta. Dopodiché, apriti cielo: stando a quanto riferiva ingenuamente
Lorenzo, la poverina si lamentava delle gambe gonfie, delle nausee, le
smagliature, le voglie, il dolor di reni, e chi più ne ha più ne metta.
Io, invece, cretina, da quella donna indipendente
che sono sempre stata, ho lavorato quasi sino alla fine della gravidanza. Mi
applaudo ancora con ironia quando ci ripenso. Aveva ragione mia madre:
lamentarsi rende, e in quanto a lamentarsi e mostrarsi fragile Laura è maestra.
Peccato che se ne può accorgere solo un’altra donna, l’uomo è troppo intento a
convincersi di essere finalmente quel ci-son-qua-io che secondo lui nessuno
aveva mai apprezzato.
Guardo fuori e sospiro. Me ne sto qui
di fronte alla finestra, a braccia conserte, ad osservare la pioggia cadere
fitta e perdersi in rivoli fangosi in attesa di riorganizzarsi e ricominciare
il ciclo daccapo. Ogni tanto appoggio la fronte ai vetri e l’alito li appanna.
Con i pensieri che mi sgomitano in testa facendo un frastuono tremendo, seguo l’alone
lasciato dall’alito contorcersi da tutte le parti e poi rimpicciolire. Infine
sparire.
“Ci vediamo tra quindici giorni” ha
detto Lorenzo mentre caricava due borsoni sull’auto del padre.
Non avrei mai pensato che quindici
giorni potessero essere tanto lunghi. Non so più neanch’io quante volte in quei
giorni sono andata nella sua stanza caratterizzata ormai da un triste ordine.
Poi l’ho rivisto. Mauro l’ha portato la domenica mattina piuttosto presto.
Troppo presto, secondo me. Voleva forse liberarsene almeno per 24 piene? Anzi,
due settimane dopo l’ha portato addirittura il sabato, subito dopo la scuola.
Sì, mi sono detta a quel punto, il mio caro ex e la sua amata cadi-e-pendi
hanno voglia di riappropriarsi della loro vita del prima-Lorenzo.
Non nascondo di aver gongolato. Anche
se mi dispiace per mio figlio, ho proprio gongolato. Ora sono io il genitore
perfetto, quello che non passa più le domeniche a cucinare e surgelare al fine
di garantirsi un’altra settimana di sopravvivenza senza dover ricorrere alla
rosticceria. Ora chiudo la porta di una casa sempre linda e porto mio figlio al
cinema e alle giostre, oppure alle corse di motocross dove gareggia il cugino.
“Sai, mamma” mi dice Lorenzo domenica
scorsa, mentre guarda le moto sfrecciare. “Laura sta poco bene, perciò ha detto
il papà se questa settimana puoi venire tu a riprendermi in palestra. Lui,
quando torna, deve cucinare e badare alla piccola Serena.”
Ho strabuzzato gli occhi! Giuro che ho
strabuzzato gli occhi. Che? avrei voluto gridare. Tuo padre che cucina e bada alla figlia? Starai scherzando! mi
veniva da esclamare, spiacevolmente stupita. Ma Lorenzo era serissimo, quindi
mi sono limitata ad annuire. Però dentro ribollivo. Mauro si era sempre rifiutato
di darmi la benché minima mano in casa, figurarsi cucinare o spupazzare
Lorenzo. Era sempre mia madre che doveva accorrere se stavo male, e ora...
Scuoto la testa e mi chiedo: perché,
quando un marito ci lascia, la donna che prende il nostro posto si ritrova
accanto l’uomo che avremmo sempre voluto avere noi? Ma è una domanda inutile,
rimane solo il fatto che ho la sensazione che per Lorenzo le cose si stiano
complicando. Quando viene passa moltissimo tempo tra le sue cose. Le tratta con
cura inconsueta e le osserva con espressione tristemente adulta.
Vuoi che ti aiuti a staccarlo così puoi
portarlo via? Gli ho chiesto l’ultima volta che è stato qui, notando come
sbavava sul suo poster preferito, quello con le auto della Ferrari. Lui non ha
avuto il coraggio di girarsi a guardarmi, ha solo risposto con una strana voce:
“la stanza dove dormo a casa del papà è stata ritappezzata da poco, non posso
fare buchi nella carta, neanche piccoli.”
Eh, già, mi dico con rabbia, guardando
la camera di mio figlio invasa di gagliardetti, manifesti di tutte le dimensioni
e pupazzi. Eh, già, come si può pensare di piantare anche solo delle puntine
sulla tappezzeria nuova e far contento un ragazzino?
Qui le pareti sono un colabrodo,
invece, ma va benissimo così. Comunque, tenendo fede al principio che mi sono
imposta di non sminuire la figura di Mauro di fronte a mio figlio, perpetuo la
finzione e dico a Lorenzo: be’, in fondo tuo padre e Laura hanno ragione,
sarebbe un peccato sciupare la tappezzeria nuova. Lui si limita ad annuire e
passa in rassegna la collezione di dinosauri in gomma. Finalmente si chiude la
porta della cameretta alle spalle e mi chiede di portarlo al cinema. Non
ricordo neanche che film fosse, tanto ero lì che rimuginavo.
Ma oggi è di nuovo sabato, e di nuovo
Mauro mi ha chiesto se posso tenere con me nostro figlio un giorno prima del
previsto. “Sai, Luisa, Lauretta ha una delle sue tremende emicranie” ha detto
l’uomo perfetto al telefono.
Una risposta piccantina da dare sulla
povera Lauretta ce l’avrei avuta, mica no! Era proprio sulla punta della
lingua. Però mi sono limitata a dire che non avevo alcun problema ad avere con
me Lorenzo, solo che non li vedo ancora arrivare. Guardo di nuovo l’orologio:
15,15 segnalano le lancette giocando a sovrapporsi. Quasi due ore di ritardo.
Non so neanche dove cercarli, perché il cellulare di Mauro è spento, e quando
Laura ha mal di testa stacca il telefono. Ma dal televisore non si stacca mai,
sempre a detta di quell’ingenuone di Lorenzo.
Mentre sto masticando amaro tra me e
me, vedo la familiare color amaranto del mio ex accostare al marciapiede.
Lorenzo scende per primo e calza il cappuccio della giacca a vento per
ripararsi dalla pioggia, ma non corre verso il portone, no, si dirige invece al
portellone con Mauro al seguito. Li osservo e sorrido del loro modo di
muoversi, che è identico. Anche le giacche a vento lo sono: entrambe blu ed
entrambe firmate, perché Laura sostiene, a detta di mio figlio, che è meglio un
solo capo di vestiario, purché rigorosamente firmato. Anche su questo avrei
molto da obiettare, ma tutto sommato non sono così certa che ne valga le pena.
Sbircio di nuovo tra i rivoli di
pioggia che si lasciano scivolare lungo i vetri e guardo in strada. Stupita da
ciò che vedo strizzo gli occhi per mettere meglio a fuoco: sì, non mi sbaglio,
padre e figlio stanno scaricando dei bagagli che conosco bene. Non volendo
cesso di respirare. E’ forse accaduto qualcosa tra quei due? A giudicare da
come si stanno abbracciando per salutarsi direi di no. Allora?
Il tempo di chiedermelo e sono già
arrivata in fondo alle scale: guardo Lorenzo fisso negli occhi. Lui arrossisce
e li abbassa. Mi saluta con falsa indifferenza e comincia a caricare le sacche
in ascensore.
Non chiedo nulla, aspetterò che sia lui
a parlare, anche se so che non dirà mai la verità sul perché è tornato. Però
non importa. Dentro di me ringrazio comunque Laura per essere una cadi-e-pendi,
per i suoi mal di testa, e per la sua preziosa tappezzeria. Di certo, da oggi
sarà tutto molto più facile con Lorenzo, che forse non è poi così ingenuo come
pensavo. Anzi, non lo è di sicuro. Be’, mi dico con orgoglio, non per niente è
tuo figlio, no?
Però ora sgonfiamoci e pensiamo ad
organizzarci la settimana, perché avrò moltissimo da fare.