Il disoccupato
D.O.C., gentilmente messo a disposizione dall’autore Raffaele Crispino, è un
capitolo del libro:
"Il disoccupato doc. Ovvero l'arte di non fare
niente"
di Raffaele Crispino
ISBN 88-7418-063-2 - Collana "Il foglio" n. 6
Pag. 108 €uro 5,00
Trovare lavoro non è facile per nessuno, ma per i giovani del
sud può essere quasi impossibile. In questo breve romanzo, il protagonista Enzo
affronta il problema del lavoro senza patemi d'animo, confidando nella buona
sorte e rassegnato all’ineluttabilità delle cose. Sembrerebbe un normale
pedaggio da pagare alla società il restare disoccupati per tanto tempo, con la segreta
paura che il lavoro vero potrebbe anche non arrivare mai. I giovani disoccupati
del sud sembrerebbero addirittura soddisfatti, della loro condizione. Non è
così. Loro cercano soltanto di adattarsi e sopravvivere. Sanno bene che
aspetteranno molto tempo e, se proprio vogliono fare prima, alla stazione c'è
sempre un treno che li aspetta, con destinazione Milano.
Il disoccupato D.O.C.
Di Raffaele Crispino
Enzo si svegliò alle nove e mezza. Andò nel bagno e poi in
cucina.
-Ti ho preparato il latte e il caffè. Ho preso anche dei
cornetti.-, disse, premurosa, la mamma.
Enzo incominciò a bere il latte; poi bagnò il cornetto e se
lo mise in bocca. Non era molto buono quel cornetto.
-Ma dove diavolo li hai presi questi cornetti?-, chiese, un
po' disgustato.
-Li ho presi da Peppe 'O Spuorc', al bar vicino al
giornalaio. La pasticceria era chiusa.-
-Quante volte ti devo dire di non prendere i cornetti da
Peppe O Spuorc'. Lo sai anche tu che non li cuoce bene.-, disse.
La mamma non replicò.
Enzo si alzò stizzito. Non volle più mangiare. Ritornò nella
sua stanza da letto per vestirsi.
Enzo aveva ventinove anni, ed era un disoccupato “d. o. c.”
(cioè autentico). Tutti lo chiamavano professore, anche se non aveva mai preso
la laurea. Solo perché era stato iscritto all'università di Napoli, alla
facoltà di medicina. Ma come si sa, da queste parti, basta che uno è iscritto
all'Università per essere già considerato dottore. E poi Enzo aveva la faccia
giusta d'intellettuale; con quel suo viso sempre stanco, che sembrava che ti
facesse un piacere se ti dava una risposta. Era orfano di padre. In casa
c’erano anche due sorelle, Franca e Luisa, che lavoravano in nero (cucivano le
lenzuola in casa) per mandare avanti la baracca. La mamma si arrangiava a fare
le pulizie presso alcune signore del posto.
Uscì da casa alle undici, e si avviò verso il centro di
Belriposo, una piccola città in provincia di Napoli con la solita piazza con...
molto verde, con il campanile, con le sue banche, con due panchine sistemate in
modo che si potesse sempre prendere il sole. Quando arrivò in piazza vide che
c'era un bel po' di gente. Si rincuorò: non era il solo disoccupato. Era una
bellissima giornata di sole, e Enzo sapeva che il suo amico Pasquale O
Sfessato, diploma di Perito industriale, gli aveva certamente tenuto il
posto sulla panchina. E infatti...
-Ah, che bella giornata! Me la voglio proprio godere.-, disse
appoggiandosi alla spalliera di ferro della panchina. Pasquale invece era
agitato. Non godeva come le altre volte quel sole del... Mezzogiorno.
-Bisogna fare qualcosa. Provare ad inventarsi un lavoro,
considerato che nessuno te lo dà.-
disse Pasquale, allargando le gambe e cercando di esporsi per bene ai
raggi del sole.
Il professore non rispose subito; non aveva tanta voglia di
parlare. Già aveva fatto una fatica a rispondergli prima e a sedersi lì per
prendere il sole, e poi lui pensava solo a come far lavorare gli altri.
-E allora!… Che hai pensato?-
-... E ti pare che con questa giornata si debba pensare al
lavoro.-, si degnò di dire.
-Perché non andiamo a Rimini questa estate?-
Il professore non si turbò, continuò a rimanere in quella
posizione con il sole che gl'illuminava la faccia, poi…
-Vuoi andare in vacanza a Rimini… e i soldi, Pasquale. I
soldi chi ce li dà?-
-Ma quali soldi! Io intendevo dire di andare a Rimini a
lavorare.-
-A lavorare! E tu vuoi andare in un posto dove tutti stanno
in vacanza per lavorare. Ma... a fare cosa, poi?-
-I camerieri.-
-I camerieri! Eh, sei diventato matto! Ma ti pare che Enzo
O' Professore si metta a portare le posate, i piatti.-
-Ma allora dobbiamo stare qui, senza far niente?-
-E che vuoi di più, Pasquale. C'è questo sole così bello.
Godiamocelo finché possiamo. Pensa un po' alle persone che sono in fabbrica,
sotto quei grandi capannoni con tutto quel rumore, la polvere, ecc… ecc...
Pensa che quando ritornano a casa non trovano un cavolo. Il sole, il sole è già
andato da un pezzo. Pensa ai lavoratori del nord. Così laboriosi, così
attaccati al lavoro. Lì fa sempre freddo. C'è sempre la pioggia, la nebbia. Che
fai allora?...Vai fuori a sederti sulla panchina a prenderti una bella strizza
di nebbia. Non conviene più a loro lavorare al caldo. Ecco spiegato tutto.
Se avessero il nostro sole... e il mare, vorrei vedere il Brambilla… Pensaci
Pasquale, pensaci bene, e capirai che la nostra è una gran bella vita. Vuoi
mettere la speranza... la speranza di trovare... un posto. Farò l'impiegato, il
comunale, il banchiere. E tu vuoi togliermi anche questo sogno.-
-E ci penso sì. Ma... noi qualcosa dobbiamo fare.-
-Pasquà!... Ma tu adesso che stai facendo? Non portavi le
mozzarelle?-
-Le mozzarelle! Enzo è un lavoro pesante. Mi dovevo alzare
alle cinque. Non ce la facevo più. Ho lasciato.-
-Ma chi ti capisce. Vuoi lavorare quando non lavori. Non vuoi
lavorare quando lavori.-
-E' facile per te. Vorrei vederti a portare le mozzarelle. Mi
dovevo alzare alle cinque del mattino, e a quell'ora fa sempre freddo.-
-Hai ragione, Pasquà. Io, per mia fortuna, sono previdente...
questo tipo di lavoro non lo cerco neppure. E poi non stiamo bene così, in
fondo... che cazzo andiamo a fare al nord.-
-Ma io... intendevo un posto fisso, uno stipendio, una
sistemazione...-
-Eh, un posto fisso!... Non è meglio così? Non è meglio...
aspirare, sognare... che un giorno qualcuno ti darà un posto fisso? In fondo
vedi tu quanti pensieri ti devi mettere in testa: pagare l'Ici, pagare la
sovrattassa, pagare l'una tantum, pagare la penale perché hai pagato in
ritardo, pagare la tassa della salute. Controllare che quello che ti dà lo
stipendio non abbia sbagliato a fare i conti. E invece noi che siamo? Chi
siamo? Siamo... Nullafacenti!... Nullafacenti. Che bella parola, Pasquà! Lo
Stato ci deve aiutare, ci deve stare vicino, ci deve sovvenzionare. Siamo una
razza in via d'estinzione. Siamo specie protetta. E' lo Stato che deve pagare,
non noi che dobbiamo pagare. Capisci la differenza. In fondo siamo
avvantaggiati.-
-Ma che cavolo stai dicendo? Alle volte non ti capisco
proprio.-
-E per forza, Pasquà. Tu vedi solo il lato materiale della
cosa e agli altri non ci pensi?-
-A chi dovrei pensare, ora?-
-Alle statistiche!…Dimentichi le statistiche, Pasquà. C'è
tanta gente al ministero che fa statistiche anche su di noi: al Sud 60% di
disoccupati, al Nord 1.03% ,al Centro 2.25 %. Noi produciamo lavoro. Se
lavorassimo, tutte queste persone che farebbero?-
-I disoccupati!-
-Appunto. Hai capito, Pasquà, quanto siamo importanti per la
società.-
-A ben capire, se scompariamo, sarà una tragedia.-, disse
Pasquale, pensieroso.
-E che tragedia.-
-Hai ragione, professo’. Tu hai sempre ragione. Pensa un po’
a quanta gente manteniamo.- Ormai s'era fatta quasi l'una meno un quarto, ed
era ora per loro di tornare a casa a mangiare. Poi nel pomeriggio un bel
sonnellino, e verso le sette di sera uscita di nuovo in piazza con relativi
incontri mondani. Ma Enzo già stava pensando a cosa fare per fare un po' di
soldi. Certo che i suoi progetti erano molto ambiziosi, ed avrebbe avuto
bisogno di un bel po' di soldi per dar corpo alle sue idee megalomani. Lui
studiava, studiava. Fantasticava. Poi vedeva l'impossibilità di realizzare la
cosa, e lasciava tutto alla malora.
-E' l'una , io mi sono stancato di stare qui. Ci vediamo
stasera.-, disse Pasquale, che non si mosse però dalla panchina.
-Ma certo. Facciamoci queste elezioni. Incassiamo questi
soldi. Poi ci sarà il referendum, o qualche altra elezione. Faremo i
rappresentanti di lista. Prenderemo la diaria di disoccupati, e poi uscirà
qualche altra legge che ci darà altri soldi. Senti a me, Pasquà, siamo proprio
fortunati a vivere in questo paese. Pensa te a che cazzo vai a pensare... il
lavoro. Quest'onere, Pasquà lasciamolo agli altri. Noi ci accontentiamo di
vedere gli altri lavorare, e senti a me anche questa è fatica. -, disse il professore,
prima di allontanarsi.
Pasquale rimase ancora un po' seduto sulla panchina, a
guardare il vigile che dirigeva il traffico. Un traffico, nonostante l'ora ,
molto intenso. Vedeva il vigile che si sbracciava, alzava le mani, faceva
segnali per mandare avanti o indietro le macchine. Fischiava. Pasquale si alzò
dalla panchina. Prese il fazzoletto dalla tasca e si asciugò la fronte.
-Ha ragione il professore: guardare gli altri lavorare è già
una bella fatica.-, disse tra sé e sé, mentre si avviava.