LA FALCIATRICE

(scherzando con Kerouac)

di Raimondo Rotondi

 

La prima volta che incontrai la falciatrice, venivo dal periodo triste della mia vita che mi è spesso toccato rimpiangere. Avevo chiuso con quel  lavoro di cui non parlerò mai più con nessuno e questo aveva a che fare col mio modo di sentire.

Difficoltà torturavano giornate di calda primavera.

Fu così che incontrai la falciatrice: "Prima di avviare il motore, accertarsi… Avviato il motore…".

Dubbi, che furono certezze, davanti al libretto d'istruzioni. Quella zona tra "prima di avviare" ed "avviato" per me pesante più che potessi credere. Dubbi, erba tanta da tramutare in fieno e falciatrice che non parte. Primavera calda e sudore facile, avvinghiato alla cordicella  tiravo una e due e tante volte, ma niente ne venne. Niente di nuovo sotto il sole. Niente di nuovo per l'uomo. La falciatrice non parte e così è.

Sto scrivendo questo racconto perché moriremo tutti, ma prima c’è tanto da fare. Non abbiamo tempo per pensare alla morte e neanche voglia. Così è la vita.

Andai dal meccanico a raccontare. Lui rispose una serie infinita di raccomandazioni mandandomi a riprovare e tornai a tirare, ancora vittima del non essere agricoltore. Tirai la malefica funicella e tirai ancora fino a spellarmi le mani. La falciatrice muta con gli uccelli che cantano ed io sconvolto dalla fatica e dal nervoso. Niente contano gli sforzi dell'uomo. Ogni cosa è vanità. E tante volte ancora riprovai, in tutte le pause da altri impegni che non sto a raccontarvi che lungo sarebbe  e noioso ed inutile. Crepuscoli dalla bellezza lancinante nel cielo di Ciociaria ed io sporco di grasso con in mano l'inutile beffarda funicella a ritentare ancora.

Tremenda delusione è quanto offre il mondo ai desolati angeli contadini.

Non smisi per giorni, in solitudine con l'angoscia del motore muto, finché escogitai l'idea.

Un grigio mattino, presi il vecchio polveroso telefono dalla sconnessa mensola dell’antica cucina e chiamai l'uomo.

Me lo vidi davanti: una vita cotta dal sole a lavorare campi beffardi, sognando raccolti che mai verranno.

E fu ruggito di motori e clinghete clanghete d'imballatrici e diesel carichi sotto sforzo.

Non c'era più silenzio. L'assordante clangore squassava la disperata quiete delle colline.

Tutto questo finì. L'erba era stata falciata.

E vennero giorni diversi o forse sempre uguali. La tempesta della vita mi trascinò su altre spiagge. Dondolando per il mare agitato, a fatica sopravvissi, come ognuno nella sua vita.

Così adesso, quando il sole va giù, siedo sulla vecchia sedia davanti alla vecchia casa a pensare i lunghi lunghissimi prati davanti al mio sguardo,  l'incredibile quantità d'erba ed i grilli che cantano nell'immensità di essa e so che da qualche parte stanno falciando, lì dove sanno mettere in moto le falciatrici.

Allora penso alla primavera lontana, penso alla falciatrice che non volle partire, penso all'erba che ancora dovrò falciare, penso alla stramaledetta falciatrice.