BUON ANNO!

di Daniela Quarta

 

 

Stefania, decisa a presentarsi agli altri ospiti come Stefy, spruzzò appena un’idea di profumo su entrambi i polsi e li agitò qualche secondo in aria perché asciugassero. Altri spruzzi brevi e veloci li distribuì a casaccio sull’abito da sera; un lungo abito nero che la fasciava nei punti giusti. La scollatura generosa, arricchita da una fuga di lustrini in corsa dalla spalla sinistra al fianco destro, metteva in giusto risalto i seni prosperosi.

Lisciato l’abito sui fianchi Stefy si guardò compiaciuta. Sistemata con qualche colpetto sapiente l’acconciatura sbarazzina ottenuta a furia di gel, si armò del suo miglior sorriso pronta così a rituffarsi tra la massa vociante.

Dalla strada saliva un crescendo di mortaretti che superava la fragile barriera dei vetri. Era quasi mezzanotte, ormai; mezzanotte del 31 dicembre. Dall’attico, arrivava chiaro nell’appartamento al piano di sotto il frastuono tipico di una festa: musica, risate, voci, tappi che saltavano...

Con un bicchiere stretto in mano, Stefy si muoveva lenta nella stanza ondeggiando appena sulle lucide scarpe dai tacchi alti. Molto alti e molto sexy, aveva constatato tra sé calzandole. Sorrise al pensiero e sorrise al volto di uno sconosciuto che le sorrideva. Uno tra i tanti che le vorticavano davanti agli occhi.

Piluccò una tartina al salmone. Sorseggiando poi con estrema grazia un po’ di champagne, Stefy riprese a bighellonare osservando l’ambiente con attenzione. C’era un sacco di bella gente tra gli invitati, tutti tirati a lucido e tutti ben decisi a divertirsi. C’erano anche personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport che, in quella notte speciale, sembrava avessero solo voglia di confondersi tra persone qualunque. Persone come lei, Stefy.

Già, lei: “Cenerentola”, “La piccola fiammiferaia”... lei era tutte le reiette delle fiabe, quella sera. Era tutte le infelici che a mezzanotte si sarebbero riscattate con il bacio del Principe Azzurro. Chissà chi, tra quel gruppetto di maschi che ora sembrava fissarla, sarebbe stato il tanto atteso Principe Azzurro? si chiese Stefy. Forse quell’affascinante ragazzo con lo sguardo malizioso e la fossetta sul mento? O il biondone dall’aria straniera che ora sollevava la coppa verso lei? Oppure... vediamo un po’...

Gedeone, il vecchio gatto soriano, non intendeva uscire da sotto la poltrona dove aveva trovato rifugio dall’inconsueto, minaccioso esplodere dei mortaretti. Terrificante frastuono che andava aumentando con l’approssimarsi dell’ora fatidica. Da dove era nascosto, quando trovava il coraggio di aprire i tondi occhi gialli, Gedeone osservava incuriosito l’incerto andirivieni per la stanza di quel paio di scarpe sconosciute. Scarpe lucide e con il tacco alto. Dall’attico, le scintille di alcune girandole che qualcuno dei partecipanti alla festa aveva già acceso, si spandevano nel vuoto morendo ancor prima di cadere sul terrazzino del piano di sotto.

“Meno cinque, meno quattro, meno tre, meno due...” Stefy, nel mitragliare dei tappi delle bottiglie, unì ai tanti altri che si levavano nella stanza il suo saluto al nuovo anno. Saluti urlati ai quattro venti o sussurrati all’orecchio in un abbraccio intimo; saluti accompagnati dal tintinnio dei bicchieri e dagli auguri per un felice anno nuovo espressi dal tale attore o dal tale calciatore o, semplicemente, da emeriti sconosciuti, ma non per questo meno coinvolgenti o meno graditi.

Nel succedersi degli scoppi e del rutilare di scintille che riempivano l’aria fredda della notte, Stefy distribuì sorrisi e alzate di calice sin quando non sentì le gambe diventare molli e la testa farsi leggera leggera.

Era stordita ed eccitata. Di sicuro stava bevendo troppo, ma era così piacevole vedere l’universo girare forte e divenire una massa confusa! E girava, girava, girava...

Una sgradevole sensazione di gelo la spinse ad aprire gli occhi. Infreddolita e contratta, sollevò con fatica la testa dal bracciolo del divano dove si era lasciata cadere qualche ora prima e allungò il collo per guardare l’orologio appeso sul lavello in cucina: ore 06,57 segnalavano la forchetta e il coltello che fungevano da lancette.

Stefy, divenuta di nuovo Stefania, rabbrividì e si strinse in una specie d’abbraccio. Sollevatasi dal divano, spense il televisore dove un documentario sugli animali aveva sostituito tutta la bella gente con la quale aveva brindato al nuovo anno, compresi l’affascinante ragazzo dallo sguardo malizioso e la fossetta sul mento e il biondone dall’aria straniera, quello che era parso voler brindare con lei.

Anche il frastuono della festa nell’attico era cessato, ormai. Non c’erano più tappi che saltavano né girandole a ricordarle che lei, Stefania Visca, era solo una “Cenerentola” di cinquantasette anni con la quale i D’andrea, la giovane coppia proprietaria dell’attico, si era scusata in anticipo per il rumore che avrebbero fatto. “Ma lei capisce, vero? E’ l’ultimo dell’anno, perciò...” aveva detto la signora D’andrea con un sorrisetto accattivante.

Inutile specificare che non si erano neanche sognati d’invitarla. E Stefania, in un momento di ribellione nei confronti del mondo, aveva acquistato un abito da sera e delle scarpe di vernice dal tacco vertiginoso. Entrambi alle bancarelle dell’usato, è chiaro, ed entrambi troppo grandi per quel corpo che gli anni sembravano aver prosciugato. Ma la Stefy sexy e ammiccante che aveva sempre sognato di essere e che, almeno per una notte, aveva deciso di diventare, be’, quella Stefy là si era vista splendida paludata nell’abito che pendeva da tutte le parti. Pettinati poi con il gel i capelli striati di grigio, aveva preparato sul tavolinetto di fronte al televisore la bottiglia di spumante (omaggio assieme al panettone dell’azienda dove lavorava da una vita) e saziandosi di caserecce tartine al salmone si era inventata una magnifica festa. Una festa fatta delle risate di quanti sciamavano al piano di sopra e di infiniti brindisi di fronte ad uno schermo dove si succedevano volti sorridenti di fantasmi.

All’alba la realtà del risveglio. Il freddo penetrato nelle ossa l’aveva catapultata nell’odiato consueto. Il tutto era avvenuto troppo presto, per i suoi gusti. Ma per quanto fosse tornata a scontrarsi con il malessere quotidiano, il peggio era passato, per fortuna. Per fortuna, per altri dodici mesi non avrebbe temuto la solitudine del Natale né del Capodanno.

Stefania, con un sospiro, si predispose a organizzare la giornata. Una volta recuperata una delle scarpe finita chissà dove, si sarebbe liberata dell’abito da vamp e lavato i capelli che, irrigiditi dal gel, risentivano della nottata sul divano sparando intorno al viso scarno come una raggiera. Mentre un Gedeone riemerso dalle profondità della poltrona si sarebbe tenuto occupato lappando le tartine al salmone avanzate, lei avrebbe indossato la solita camicia da notte di flanella, la solita vestaglia rosa, le comode ciabatte con le nappine, e avrebbe trascorso quel giorno di festa tra una lavatrice da caricare e una passata d’aspirapolvere in attesa che arrivasse l’indomani per tornare in ufficio. E finalmente  ricominciare a sopravvivere.

 

 

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